In Russia è di moda vedere il modello di sviluppo cinese come una success story di modernizzazione “non occidentale”. E la crisi ucraina e la guerra delle sanzioni con l’America e l’Europa non fanno che stimolare l’interesse per questa esperienza ricca ed istruttiva. Ma quanto appropriate sono le nostre conclusioni sull’esperienza cinese? Siamo realmente in grado di comprendere le cause dei successi e degli insuccessi della modernizzazione cinese? Su questo proposito non mancano i dubbi. Analizziamo, pertanto, due momenti chiave della storia cinese.
A cavallo tra i secoli XVII e XVIII, mentre la Russia era governata dai Romanov, in Cina imperava la dinastia mancese dei Qing. In quegli anni, quasi in contemporanea, sedevano al trono due dei più grandi rappresentanti di queste dinastie: in Russia lo Zar Pietro il Grande (durata del regno 1682-1725), e in Cina l’Imperatore Kangxi (durata del regno 1662-1722). I due regnanti avevano molti lati in comune. Entrambi furono dei governanti forti e autoritari, lottarono con successo contro la vecchia aristocrazia, divennero celebri come saggi amministratori e infaticabili riformatori, furono assorbiti da grandi progetti edilizi ed allargarono in modo significativo i confini dei loro Paesi.
Tra i due, però, c’era una sostanziale differenza. Pietro I fu un deciso sostenitore dell’europeizzazione della Russia, dello sviluppo dei rapporti commerciali con i vicini occidentali e dell’introduzione nella vita sociale russa di tradizioni, costumi e persino mode provenienti dall’Occidente. Kangxi, al contrario, pur interessandosi alle scienze straniere, non solo mantenne l’isolamento cinese nei confronti del resto del mondo, ma ufficializzò questo status, e, quando nel 1793 il diplomatico britannico Lord George McCartney giunse in Cina per aprire il Paese al commercio con l’Europa, la risposta fu che “il Celeste Impero è sufficientemente ricco e autosufficiente e pertanto non ha bisogno di commerciare con l’estero”. Alla politica della “sostituzione delle importazioni” si aggiunsero, alla fine dell’impero di Kangxi, le aggressioni ai danni dei missionari occidentali. Questo isolazionismo incontrò il pieno sostegno sia della nobiltà mancese sia degli intellettuali di etnia Han.
Il seguito è ben noto. La storia di questi due grandi imperi prese due strade completamente differenti. Nel corso dei secoli XVIII e XIX la Russia visse una fase di rapido sviluppo ed entrò prima nel novero delle grandi potenze europee e poi nell’empireo di quelle mondiali, riuscendo con successo ad accorciare il divario che la separava dai Paesi più sviluppati. E questo fino alla catastrofe della Prima Guerra Mondiale. La Cina dei Qing, al contrario, col passare del tempo si trasformò in un Paese arretrato e perse il suo tradizionale status nelle relazioni internazionali. Quando alla fine Pechino fu costretta ad aprire i suoi confini agli stranieri, lo fece in condizioni per essa sfavorevoli e umilianti. Nell’arco di un secolo e mezzo-due, a causa dell’isolazionismo, la Cina si sarebbe trovata sull’orlo di una catastrofe nazionale.
Ora spostiamoci verso un passato non molto lontano. Il 4 giugno 1989, nella piazza pechinese di Tienanmen, le proteste degli studenti di opposizione furono represse nel sangue, provocando centinaia di morti. Il G7, guidato dagli Stati Uniti, introdusse una serie di dure sanzioni contro Pechino. I contatti ad alto livello e la cooperazione in ambito militare furono interrotti, e una serie di relazioni economiche e di investimenti vitali per la Repubblica Popolare fu congelata. La maggior parte dei politici e degli ufficiali della Cina popolare non celò il proprio turbamento e la propria indignazione nei confronti dell’Occidente, e a Pechino si diffuse la convinzione che le riforme economiche andassero immediatamente sospese, che alle sanzioni bisognasse rispondere con altre sanzioni e che la politica delle “porte aperte” fosse stata un errore, se non addirittura un danno per il Paese. Il Segretario Generale del Partito Comunista Cinese Zhao Ziyang fu sollevato dal suo incarico e posto agli arresti domiciliari per il suo eccessivo liberalismo. E i conservatori assaporarono quella vittoria sui riformisti da tanto attesa.
Tuttavia Deng Xiaoping, il grande artefice delle riforme cinesi, pur abbandonando ogni incarico ufficiale, riuscì a ottenere il mantenimento della sua linea politica. E questo malgrado le pressioni provenienti da militari, funzionari di partito e ideologi di orientamento conservatore. Malgrado le umilianti sanzioni occidentali e la campagna anticinese senza precedenti orchestrata dai mezzi di comunicazione europei e nordamericani. Malgrado i rischi sociali e politici connessi alla prosecuzione del cammino delle riforme. Le frange conservatrici del governo cinese ottennero alcune vittorie tattiche, ma non riuscirono a ricondurre il Paese verso una nuova fase di autoisolamento, e in generale Pechino non si lasciò trascinare dalle emozioni dell’epoca: non furono adottate sanzioni di risposta contro l’Occidente, non si tornò agli anni delle grandi mobilizzazioni (come il celebre Grande Balzo in Avanti, nda), e la politica delle “porte aperte” fu mantenuta.
Gli esiti di questa scelta fanno ormai parte della storia. La Cina è ormai diventata la seconda economia mondiale, e già oggi il Paese supera gli Stati Uniti per volume di scambi con l’estero. Nel contempo, però, la Cina non ha perso né il suo carattere nazionale, né la sua identità culturale, né le peculiarità del suo sistema politico. E sono in pochi, oggi, a ricordare le sanzioni del 1989.
Pur tenendo presenti le differenze tra i nostri Paesi e le nostre società, queste due lezioni di storia cinese restano molto importanti per la Russia di oggi. La Russia si trova attualmente dinanzi ad un bivio storico tra il cammino dell’Imperatore Kangxi e quello del comunista riformatore Deng Xiaoping. La linea dell’imperatore è maggiormente comprensibile e foriera di speranze per l’attuale gruppo dirigente russo e per la maggior parte della popolazione del Paese. Il percorso del riformatore presenta invece una serie di rischi tattici e non mancherà di incontrare oppositori. Arroccarsi sulle proprie ragioni e nell’orgoglio della propria preminenza storica è sempre più semplice che adattarsi a una realtà difficile e spesso ingiusta, e quindi alle ostilità del mondo esterno. Ma la storia della Cina consente di comprendere chiaramente qual è il percorso che conduce alla leadership mondiale e quale a un vicolo cieco di proporzioni storiche.
Traduzione a cura di Giuseppe Cappelluti.
*Andrej Kortunov è il Direttore Generale del Consiglio Russo per gli Affari Internazionali (RCMD).
Fonte: http://www.vedomosti.ru/opinion/news/33279931/dva-kitajskih-uroka-dlyarossii?full#cut